A PERUGIA
Via Valentino Bucchi



Il 23 settembre 2005 è stata inaugurata, a Perugia da rappresentanti dell'Amministrazione Comunale Via Valentino Bucchi, nel quartiere di S.Sisto Alto, alla presenza, tra gli altri, del figlio del Maestro, Massimo, del direttore del Conservatorio di Musica Morlacchi Giuliano Silveri, e dei diretti allievi di Bucchi, attuali docenti del Morlacchi, Fernando Grillo, Stefano Ragni e Fernando Sulpizi.

La Fondazione Valentino Bucchi, del cui Direttivo fa parte anche Massimo Bucchi, aveva rivolto al Sindaco Renato Locchi e all'Amministrazione comunale perugina tutta, la seguente Lettera aperta:



Onorevole Sindaco,
La Fondazione Valentino Bucchi è compiaciuta, grata e onorata di incrociare la Città di Perugia che Lei rappresenta, nel rendere omaggio a Valentino Bucchi e nel perpetuarne la memoria. Lodevole e meritoria è la decisione del Comune di intestare una strada a un Uomo libero, a un Musicista di raro valore, anche perchè libero da schemi compositivi ed esecutivi, a un Insegnante che educò all'arte e alla vita per molti anni anche nella vostra Città, dove ancora oggi operano con onore Suoi allievi.

Non abbiamo dimenticato che, l'8 maggio 1996, Perugia ha ospitato nella splendida Sala dei Notari di Palazzo dei Priori, col Patrocinio del Comune, l'Incontro con Valentino Bucchi a vent'anni dalla Sua scomparsa, voluto dalla nostra Fondazione, e al cui successo ha dato decisivo apporto un gruppo scelto di esponenti della cultura cittadina.

Auspichiamo (lo confessiamo…pubblicamente) che il Suo esempio, Onorevole Sindaco, venga seguito dalla Città di Firenze, dove Valentino Bucchi ebbe i natali e fu protagonista, insieme con i migliori intellettuali fiorentini, della vita culturale e democratica dell'epoca.

Un Musicista di fama mondiale, Franco Mannino, poco prima che ci lasciasse, in occasione del Premio Bucchi, nel novembre scorso, ebbe a dire che "il creatore" non appartiene alla sua patria bensì al mondo intero. E' così anche per Bucchi, noi ne siamo convinti. Ma questo non esime le patrie dall'onorare i propri figli che le hanno onorate, in vita e poi. Anche, forse soprattutto, se risultano "incatalogabili".

La bella notizia da Perugia -quale migliore augurio di successo?- aveva raggiunto la Fondazione alla vigilia della Ventottesima edizione del Premio Valentino Bucchi di composizione ed esecuzione per giovani musicisti di tutto il mondo: una meta che, con legittimo orgoglio, abbiamo raggiunto, ad onta di non casuali difficoltà e ostacoli di ogni genere, liberi, in onore e ricordo di Valentino Bucchi che della libertà fece la Sua cifra.

Un nuovo anello con la città si è aggiunto, una pubblicazione del Premio Valentino Bucchi in 3 libri di pagine 96 l'uno "Una via che rimanda a un'epoca. Perugia intesta una strada a Bucchi" curata dalla bibliotecaria del conservatorio di Perugia Floriana Cagianelli e un giovane studioso umbro Andrea Dozi che lavora alla fonoteca internazionale. Una pubblicazione che sull'humus del passatro si intreccia con il presente, coloro che ricordano Valentino Bucchi perché ne erano stati allievi e/o amici. Perché si abbia un'idea del contenuto dei libri trascriviamo le quarte di copertina che lo sintetizzano.

Volume I - Perugia intesta una strada a Valentino Bucchi. A trent'anni, o più, dalla morte. Il figlio del Musicista, Massimo, si dice preso in contropiede. (Non è il solo?). Concede che dalla strada "si gode una bella prospettiva". Poi prende palla e la manda all'indietro, nelle rimembranze: gioco bello, appassionato. Il suo rapporto col padre e con la famiglia musicale. Nonno Guido suonava il corno. Nonna Isolina – che forse di suo avrebbe fatto la medium – suonava il violino. Mamma Alba suonava il piano. Zia Aurora il violino. La casa, in via Lambruschini a Firenze, sempre piena di ospiti musicisti e affini (ma anche di scrittori, pittori, filosofi). A proposito, Bucchi era fiorentino? Era nato a Firenze e ne portava l'indelebile impronta. Valentino Bucchi diventa direttore del Liceo musicale di Perugia. In pochi anni ne ottiene la promozione a Conservatorio. Quando il teatro La Pergola ospita gli sfollati Bucchi, e il bambino Massimo sul palcoscenico fa su e giù col triciclo. La sera che assiste all'insuccesso preparato e organizzato del "Coccodrillo" e sbalordisce al coraggio del padre che dal palcoscenico si inchina e sorride ai fischi. Il concerto per clarinetto solo è opera "rivoluzionaria" di Valentino Bucchi del 1969. Ciro Scarponi, allievo di Bucchi, ne farà il punto di forza dei suoi studi, del suo insegnamento lungo tutta la sua carriera. Lo ricorda l'altro allievo Stefano Ragni ancora dolente per la prematura morte del collega. Caro Ragni, legga quei versi sui mietitori di Montale per capire il ritmo della mia giga. Così gli diceva il Maestro. Ma l'allievo, per quanto si dannasse a cercarli, non trovò mai quei versi. L'ultima opera di Bucchi, Soliloquios per viola sola del 1976, ha il senso di una eredità agli allievi della Scuola di Perugia. Ne è convinta Floriana Cagianelli. A Fernando Sulpizi, Bucchi rispose che gli eventi o si contrastano o si incrociano difendendo la propria autonomia. Bucchi salva Debussy. Per Gianfranco Maddoli, la recente storia musicale di Perugia ha in Bucchi uno degli artefici. Alì Babà e i 40 ladroni nei ricordi di Giuliano Silveri. Il Gruppo Musicale Umbro fa le prove nella "tomba". Qui ebbe lunghi colloqui con il Maestro, ne raccolse gli sfoghi e accolse i consigli di Renato Sabatini. Quando il pittore Dorazio incontrò Bucchi a Parigi, nel 1947, alla Cité Universitarie. "Non morire, ma vivere per scrivere musica e dare gioia agli uomini". E' scritto nel testamento di Beethoven. Bucchi vi riandava con la mente. Ne è sicuro Clemente Terni. Bucchi, laico ma curioso anche del mistero e dell'inconoscibile, a una seduta spiritica con Salvatore Silivestro, Prodigo e Ragni. (Contenta mamma Isolina, da lassù). Guai a chiedergli di fare il testimone di nozze. A Silivestro rispose: "come potrei testimoniare per te se non saprei testimoniare per me?". Francesco Pacioselli invita all'ascolto dell'Orfeo di Monteverdi ricomposto da Bucchi. "Maestro, lasci stare i supercritici: l'opera d'arte, se valida, sopravvive alle chiacchiere dei circoli e alle colonne dei giornali", scriveva profeticamente a Bucchi, Francesco Spingola. I suoi consigli sulle "atmosfere" furono e sono di importanza fondamentale, riconosce Vito Vallini.

Volume II - Voi che leggete, estote parati. Vi misurerete con veri e propri saggi, brevi ma densi. Eppure leggibili d’un fiato, ma non senza impegno. Il Laudario di Cortona è la materia prima da cui Bacchi crea le sue Laudes Evangelii, ricavandone un capolavoro. Clemente Terni, che mise a disposizione la sua perizia in musica gregoriana, ricorda e testimonia dal di dentro. Piero Caraba conclude che Bucchi è riuscito nell'impresa di fare del medievale Laudario, valido e compiuto in sé, un prodotto nuovo, fresco e moderno, senza disperdere il significato originario. Che cosa sia la consapevolezza filologica, come essa pervada le Laudes. Perché Bucchi sappia interpretare e vitalizzare una tradizione spirituale tra le più fervide della nostra storia. L’utilizzazione dell'organum melismatico. Come Bucchi coniughi inventio e ratio. Intriganti curiosità che vi toglie Galliano Ciliberti. Valentino Bucchi rielabora L’Orfeo di Monteverdi. Lo fa perché il ritorno alla musica prebarocca è per lui un modo per uscire da un sistema di organizzazione della materia sonora che ha esaurito le sue potenziali espressive. E’ la persuasione di Biancamuria Brumana che, con l'occasione, esamina tutte le riletture novecentesche dell’Orfeo. Lajos Kozma: fu il protagonista dell’Orfeo di Valentino Bucchi. Lernando Sulpizi fa... Catone e definisce il compositore Bucchi Vir bonus musicam cogitandi peritus. Allievo di Bucchi e ricostruttore della partitura dei Ciompi ha trovato un quaderno appartenuto al Maestro. C’è scritto: V. Bucchi - Ciompi (In maiuscolo e sottolineato). Quaderno di Appunti di Valentino Bucchi. Ne fa ampie citazioni. Una. Tornieri, giostre, bagordi, facia ballar, cantar e sonar facian fare quatrocento sonator si dicia con buffoni alla corte si trovoe. Che fatica comporre un'opera. Concerto per clarinetto solo. Ossimoro: concerto con un solo strumento? Che significato attribuire? Bucchi ama esprimersi con ironia e per paradossi. E’ una provocazione scherzosa. Francesco Corrias oltre altre gustose e colte spiegazioni insieme con una disamina critica del lavoro e della sua genesi. Cita Luciano Alberti che definisce quella di Bucchi "un'etica umanistica ma ancor più illuministica della curiosità" e la sua "una produzione tanto accuratamente distillata eppure distribuita sui registri più diversi della comunicazione musicale". Vittorio Tarparelli scopre casualmente che il Concerto Lirico è la “messa in scena” sonora di un racconto di E.A. Poe, La Mascherata della Morte Rossa. E’ il suo spunto per affascinarci con l'esoterismo di Valentino Bucchi, il retroscena della sua musica: la presenza di un'opera originaria, un'opera che genera tutte le altre possibili opere, un'opera che non sarà mai scritta. Il grottesco o l'arguzia, l'ironia e la delicatezza, la fiaba e il sogno. Ecco i caratteri essenziali del Contrabbasso. Afferma Florìana Cagianelii. E riporta Bucchi: "La solitudine dell'uomo e dell'artista contemporaneo, la sua impossibilità di comunicazione, sono alla base dell'opera. E con esse, la speranza che un giorno quella solitudine e la situazione angosciosa abbia termine". Non solo l'incomunicabilità. Anche la casualità del vivere e dell'apparire. Il contrabbassista esiste in quanto si dispera perche ama e non può comunicare. Gli altri personaggi sono un pretesto per rappresentare la fatuità della realtà d'oggi. E’ la tesi, dimostrata, di Roberto Micalella. Una preziosa ricerca di Cinzia Violetti che individua sul territorio (Perugia) la presenza di documentazioni compositive e bibliografiche riguardanti la figura di Valentino Bucchi.

Volume III - Le ragioni delle affinità elettive fra il pensiero di Capitini e quello di Bucchi. L'incontro dei due a Perugia negli anni Cinquanta-Sessanta. Bucchi dirigeva il Liceo Musicale Morlacchi. Capitini tornava spesso nella sua città natale. I luoghi della formazione intellettuale di Capitini furono Pisa e Perugia. Di Bucchi, Firenze e Perugia. Ambedue sull'asse di antica cultura e civiltà Toscana-Umbria. Analogia che Floriana Cagianelli nega al caso. E ritiene non estranea alle idee e alle scelte del Filosofo e del Musicista. Straordinaria amicizia. Straordinario suggello: il Colloquio Corale, opera del Musicista su parole, in prosa e in versi, del filosofo. Nell'opera coesistono due testi, uno cantato l'altro recitato; e c'è dentro un'altra opera di Bucchi, Silence (sapiente equilibrio di senso e sentimento magico). Quando si dice la compresenza: parola chiave del Colloquio. Ed anche musica e testi sono compresenti, non elementi in reciproca funzione. Il lavoro del silenzio si percepisce all’ascolto del finale. E’ l’analisi storico-critica di Fausto Tuscano. Il come e il perché nasca il Colloquio Corale in memoria di Aldo Capitini, a quattro anni dalla morte, trovano illuminante risposta nei rapporti tra il Filosofo e il Musicista: il carteggio inedito - 33 lettere: 22 di Capitini e 11 di Bucchi - ne documenta il senso, la forza e la franchezza dialettica. Dice Gianfranco Spadaccia, in un esame, affettuoso, ma sereno dell'epistolario, che viene qui pubblicato per la prima volta. Qual è la spinta per cui Valentino Bucchi trae ispirazione per una creazione musicale dagli scritti di Aldo Capitini? Il pensiero, la semplicità e la forza del pensiero del "pensatore d'urto" Capitini, risponde Mario Martini. Così si ha l'incontro produttivo di due spiriti significativi del nostro tempo. "Quando procede l'alta musica tutto ciò che è più del mondo viene ed ascolta. Nelle pause il silenzio volge uno sguardo al mondo", così scrive Capitini nel 1943. A non saperlo, vi suona all'orecchio come la lettura critica del Colloquio Corale di Bucchi, con un anticipo di quarant'anni. Valentino corre in bicicletta a casa del cugino per ascoltare Armstrong alla radio. Poi si mette al piano e suona a memoria un blues appena sentito. E poi lo risuona secondo Verdi, secondo Bach. Ricorda il cugino Marcello Bucchi. Vi sono esistenze nelle quali conoscendosi ci si riconosce. E’ l'esperienza di Marco Pannella. Ma per parte sua, sottilizza, conoscendo Valentino Bucchi, lo ha tutt'al più intuito. E si accorge ora che sa poco o nulla di Valentino, ma di certo è stato saputo da Valentino. Tra loro, un incontro alimentato in prevalenza dall'apporto di Valentino, riconosce Marco con rammarico. La pietas radicale di Bucchi. Il suo sottrarsi ad ogni omologazione. Il bel ritratto che stila Giorgio Spini di Valentino giovane. Il motivo del pari rispetto di Marco a Bucchi e a Don Romolo Murri. Una conchiglia per sentire il mare.

Fondazione Valentino Bucchi

 
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